..."Chissà com'era questo pezzo di terra quando c'era Giotto. Se ti guardi attorno non vedi nemmeno una delle cose di ora. Se fai un giro d'orizzonte, non vedi che campi e campi, forse c'era una pieve"...
Prosa letteraria, ritmica e giocosa, per questo manuale sull'arte dell'orto: un invito a ritrovare il giusto e quotidiano contatto con la terra, semplicemente coltivando "50 passi per 20" di terreno.
Un manuale atipico e romantico sull'arte del fare un orto che, fra un aneddoto e un racconto, dona ai lettori pratici consigli per la cura dell'orto: dalla preparazione del concime verde all'importanza dell'amico lombrico, dal compostaggio all'utilizzo della cenere per sottolineare, infine, l'importanza di un'alimentazione naturale.
Una favola bioregionale, di una gioia ritrovata nel contatto con la natura. La gioia dei buoni frutti raccolti, della curiosità insistente di un bambino, di una vita semplice e serena.
«Il campo in conca», è molto di più di un classico manuale per coltivare gli ortaggi: è un libro pratico ma insieme poetico dove si racconta la vera storia di un orto coltivato insieme ad un bambino.
Prosa letteraria, ritmica e giocosa, per questo manuale sull'arte dell'orto: un invito a ritrovare il giusto e quotidiano contatto con la terra, semplicemente coltivando "50 passi per 20" di terreno.
Un manuale atipico e romantico sull'arte del fare un orto che, fra un aneddoto e un racconto, dona ai lettori pratici consigli per la cura dell'orto: dalla preparazione del concime verde all'importanza dell'amico lombrico, dal compostaggio all'utilizzo della cenere per sottolineare, infine, l'importanza di un'alimentazione naturale.
Una favola bioregionale, di una gioia ritrovata nel contatto con la natura. La gioia dei buoni frutti raccolti, della curiosità insistente di un bambino, di una vita semplice e serena.
«Il campo in conca», è molto di più di un classico manuale per coltivare gli ortaggi: è un libro pratico ma insieme poetico dove si racconta la vera storia di un orto coltivato insieme ad un bambino.
Quarta di copertina
Dotata di una scrittura fresca e asciutta, Maria Pagnini, autrice del volume "Storia di un popolo, anzi due. Lettera aperta a un ragazzo sarawi", è stata insignita del premio «Firenze per la cultura di pace» promosso dall'associazione «Un tempio per la pace».
Nel volume "Il campo in conca. L'arte dell'orto", il principale merito è quello di raccogliere, nelle stesse pagine, consigli e suggerimenti di base per la conduzioni di un orto biologico familiare con brevi, ma sempre profonde e stimolanti, riflessioni sul senso del coltivare e del contatto con la terra.
Abbiamo rivolto all'autrice alcune domande per meglio spiegare la genesi e il significato di questo originale manuale di orticoltura.
Quando hai cominciato ad occuparti di un orto? E a scrivere su di questo, tu che ti occupi d'altro?
A 40 anni, non è mai troppo tardi. Ho cominciato a scrivere e a fare l'orto nello stesso momento, sono due attività che stanno bene insieme perché se la scrittura è introspezione, l'orto è meditazione.
Però ti porti dietro un bambino, il Parmigianino, non sei sola...
Per il senso della trasmissione. Tizzola, mio nonno, ce l'aveva chiaro il «dovere» di trasmettere la sua conoscenza. Lui era un contadino e durante l'infanzia l'ho molto seguito, molto guardato. Così mi sono rimasti gli insegnamenti sapenziali, i gesti arcaici che mi ritrovo a fare quando semino oppure sono in ginocchio e sbarbo la gramigna... l'orto è una pausa per ripensare e ripensarsi.
Quindi l'orto come terapia?
Kitchen garden therapy, per usare un linguaggio che va per la maggiore... sto pensando al librettino di Robert Capra.
Ah, quel manualetto con la radice in copertina dove parla degli orti scolastici in California; ma credo che non ci sia bisogno di scomodare gli americani quando il tuo manuale è scritto in un bellissimo linguaggio toscano, ma soprattutto con la filosofia, l'ironia dei toscani.
Mi occupo di storia locale, anche quando scrivo di un orto, quindi è un orto dell'Italia centrale, sopra a Roma e distante dal mare.
C'è un passaggio nel tuo libro in cui parli degli orti dei monasteri: sembra che su di te esercitino un fascino particolare. Sarà per quella storia dell'orto come meditazione?
Nell'orto occorre lavorare in religioso silenzio. Con il Parmigianino, il bambino che è con me, ci scambiamo poche parole. Oggi i monaci non fanno più gli orti, peccato. Alla Certosa del Galluzzo, vicino a Firenze, al cancello che portava ai loro orti c'è rimasta una targa in cui c'è scritto: qui è clausura. Stava a significare «regolatevi». Ecco, regolatevi quando entrate in un orto. Non potrei fare quello che fanno alla Cascina di Brera, vicino a Milano, dove hanno costituito un'associazione di consumatori che pagano un coltivatore con una quota mensile per poi andare nel campo a raccogliere la verdura. L'orto è un luogo in cui si sta bene da soli (o con pochi intimi) a riflettere su tante cose mentre sei in ginocchio e sbarbi la gramigna, per questo ognuno dovrebbe avere il «suo» orto.
I pensieri che ti vengono in ginocchio, mentre sbarbi la gramigna, poi ti ritrovi a scriverli?
Nell'orto è germogliato Lettera ad un fagiano mai nato perché gli uccelli mi avevano beccato tutti i pomodori. E così, mentre sarchi, pacciami, fai filosofia, quando torni a casa hai un paniere di verdura ed uno di idee, pensieri e parole.
Pensieri, parole ed opere... Pensa che nel '72 lavoravo a Livorno come Cemea con la Madonnina del Grappa diretta da don Nesi ed avevamo impiantato un orto con le galline ed i conigli per avere il letame. Quest'orto era in un quartiere ultraproletario ed è durato poco perché gli dava noia... il canto del gallo!
Eravate troppo in anticipo con i tempi, bisognerebbe tornare ora a Livorno, dopo 30 anni, e forse per il gallo ci sarebbe la stessa protezione che c'è per il panda. Avendo un orto devi alzarti presto perché è nelle prime ore del giorno che puoi annaffiare e anche perché, nel mio caso, ho un altro lavoro che mi aspetta.
Nel tuo libro c'è la riflessione di chi sta sbarbando le radici «profonde» della gramigna ma ci sono anche le indicazioni concrete per fare un orto.
Ci sono le indicazioni fondamentali per incominciare a fare e a pensare. Pensa a che schifezze stai mangiando e incomincia ad attaccare biglietti: «cerco un orto». Io ho fatto così, non avevo soldi per comprarlo e c'era intorno a me tanta terra incolta.
È andata davvero così? Hai attaccato un biglietto, dove lavori, in cui hai scritto: «cerco un orto»?
È andata davvero così.
Nel volume "Il campo in conca. L'arte dell'orto", il principale merito è quello di raccogliere, nelle stesse pagine, consigli e suggerimenti di base per la conduzioni di un orto biologico familiare con brevi, ma sempre profonde e stimolanti, riflessioni sul senso del coltivare e del contatto con la terra.
Abbiamo rivolto all'autrice alcune domande per meglio spiegare la genesi e il significato di questo originale manuale di orticoltura.
Quando hai cominciato ad occuparti di un orto? E a scrivere su di questo, tu che ti occupi d'altro?
A 40 anni, non è mai troppo tardi. Ho cominciato a scrivere e a fare l'orto nello stesso momento, sono due attività che stanno bene insieme perché se la scrittura è introspezione, l'orto è meditazione.
Però ti porti dietro un bambino, il Parmigianino, non sei sola...
Per il senso della trasmissione. Tizzola, mio nonno, ce l'aveva chiaro il «dovere» di trasmettere la sua conoscenza. Lui era un contadino e durante l'infanzia l'ho molto seguito, molto guardato. Così mi sono rimasti gli insegnamenti sapenziali, i gesti arcaici che mi ritrovo a fare quando semino oppure sono in ginocchio e sbarbo la gramigna... l'orto è una pausa per ripensare e ripensarsi.
Quindi l'orto come terapia?
Kitchen garden therapy, per usare un linguaggio che va per la maggiore... sto pensando al librettino di Robert Capra.
Ah, quel manualetto con la radice in copertina dove parla degli orti scolastici in California; ma credo che non ci sia bisogno di scomodare gli americani quando il tuo manuale è scritto in un bellissimo linguaggio toscano, ma soprattutto con la filosofia, l'ironia dei toscani.
Mi occupo di storia locale, anche quando scrivo di un orto, quindi è un orto dell'Italia centrale, sopra a Roma e distante dal mare.
C'è un passaggio nel tuo libro in cui parli degli orti dei monasteri: sembra che su di te esercitino un fascino particolare. Sarà per quella storia dell'orto come meditazione?
Nell'orto occorre lavorare in religioso silenzio. Con il Parmigianino, il bambino che è con me, ci scambiamo poche parole. Oggi i monaci non fanno più gli orti, peccato. Alla Certosa del Galluzzo, vicino a Firenze, al cancello che portava ai loro orti c'è rimasta una targa in cui c'è scritto: qui è clausura. Stava a significare «regolatevi». Ecco, regolatevi quando entrate in un orto. Non potrei fare quello che fanno alla Cascina di Brera, vicino a Milano, dove hanno costituito un'associazione di consumatori che pagano un coltivatore con una quota mensile per poi andare nel campo a raccogliere la verdura. L'orto è un luogo in cui si sta bene da soli (o con pochi intimi) a riflettere su tante cose mentre sei in ginocchio e sbarbi la gramigna, per questo ognuno dovrebbe avere il «suo» orto.
I pensieri che ti vengono in ginocchio, mentre sbarbi la gramigna, poi ti ritrovi a scriverli?
Nell'orto è germogliato Lettera ad un fagiano mai nato perché gli uccelli mi avevano beccato tutti i pomodori. E così, mentre sarchi, pacciami, fai filosofia, quando torni a casa hai un paniere di verdura ed uno di idee, pensieri e parole.
Pensieri, parole ed opere... Pensa che nel '72 lavoravo a Livorno come Cemea con la Madonnina del Grappa diretta da don Nesi ed avevamo impiantato un orto con le galline ed i conigli per avere il letame. Quest'orto era in un quartiere ultraproletario ed è durato poco perché gli dava noia... il canto del gallo!
Eravate troppo in anticipo con i tempi, bisognerebbe tornare ora a Livorno, dopo 30 anni, e forse per il gallo ci sarebbe la stessa protezione che c'è per il panda. Avendo un orto devi alzarti presto perché è nelle prime ore del giorno che puoi annaffiare e anche perché, nel mio caso, ho un altro lavoro che mi aspetta.
Nel tuo libro c'è la riflessione di chi sta sbarbando le radici «profonde» della gramigna ma ci sono anche le indicazioni concrete per fare un orto.
Ci sono le indicazioni fondamentali per incominciare a fare e a pensare. Pensa a che schifezze stai mangiando e incomincia ad attaccare biglietti: «cerco un orto». Io ho fatto così, non avevo soldi per comprarlo e c'era intorno a me tanta terra incolta.
È andata davvero così? Hai attaccato un biglietto, dove lavori, in cui hai scritto: «cerco un orto»?
È andata davvero così.